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Il brigantaggio nel Cilento – video Monteforte Cilento 360

Il fenomeno del brigantaggio, tipico dell’Italia centro-meridionale, ha coinvolto anche il Cilento. Del resto, tutta la parte meridionale dell’attuale provincia di Salerno, insieme ad altre località appenniniche, è sempre stata un focolaio di rivolta. Temuto dai sovrani borbonici, che già agli inizi del XIX secolo consideravano questa terra ostile al potere centrale, il Cilento ha sempre fatto affidamento sulla straordinaria tenacia dei suoi ribelli. Neppure le spietate repressioni borboniche riuscirono a cancellare il ricordo di tanto coraggio, come testimoniato dalle iscrizioni commemorative presenti in tantissimi borghi cilentani.

La storia del brigantaggio nel Cilento: i moti del 1828

Le sollevazioni popolari che scossero il Cilento nel 1828, sfociarono ben presto in un tentativo d’insurrezione contro il potere centrale dei Borbone. Promosse da gruppi di attivisti, il cui obiettivo era ripristinare la Costituzione del 1820, furono sedate con non poche difficoltà dai soldati giunti fin qui da Napoli. Ma cos’era la costituzione del 1820? Si trattava di una proposta avanzata da Ferdinando I, respinta per ristabilire quello che era a tutti gli effetti un regime assolutistico. A promuovere la sollevazione fu la società dei Filadelfi, capeggiata da Antonio Maria De Luca, nato a Celle di Bulgheria. Alla sommossa aderirono diversi Carbonari e persino alcuni briganti, guidati dai fratelli Capozzoli. La repressione fu spietata, tanto che De Luca, per evitare ritorsioni contro il suo paese, decise di costituirsi. Qualche giorno dopo venne ucciso a Salerno. Il caso volle che la banda dei fratelli Capozzoli riuscì a dileguarsi appena in tempo, fuggendo in Corsica. Fece ritorno in Cilento solo un anno dopo: molti di loro, però, vennero catturati e fucilati a Palinuro.

I moti del 1848

I moti del 1848 precedettero la Spedizione dei Mille di Garibaldi e furono ispirati dalle sollevazioni antiborboniche di Palermo. Alcuni gruppi segreti approfittarono del caos e scesero in strada a Pollica, Castellabate e Torchiara. Fu Costabile Carducci, molto vicino ai Carbonari, a guidare la sommossa. Dopo aver riportato alcune vittorie, riuscì persino a indurre i Borbone a rivedere la Costituzione. Tuttavia, in seguito allo scioglimento del parlamento imposto dal re, Carducci fu costretto a rifugiarsi a Roma. Rientrato in Cilento, fu catturato nei pressi di Maratea e condannato a morte. Pochi giorni dopo, l’esercito borbonico diede inizio a una sanguinosa repressione, soffocando ogni sussulto patriottico fino all’arrivo di Carlo Pisacane nel 1857.


Il fenomeno del brigantaggio dopo l’Unità d’Italia

L’affermazione del brigantaggio fu il risultato dell’invasione dei Savoia, che di fatto rovesciò i Borbone. I briganti avevano sporadicamente combattuto la monarchia assolutistica borbonica, ma dopo il 1861 si compattarono per rovesciare l’occupazione piemontese. La povertà dilagante, l’instabilità politica e il malcontento generale, causato anche dall’aumento delle tasse, fecero il resto. L’unità d’Italia produsse fin da subito effetti disastrosi per l’economia del sud Italia: diverse aziende emigrarono al nord e i lavori pubblici furono puntualmente assegnati a imprese provenienti dal Piemonte. Il brigantaggio fece eco al malcontento del popolo, facendosi promotore di una rivolta che abbracciò quasi tutto il sud Italia. Ne nacque una sorta di guerra civile, finalizzata a rovesciare quelli che tutti consideravano i nuovi padroni.

I briganti cilentani

Ai moti del 1828 presero parte diversi briganti, tra cui i già citati fratelli Capozzoli, ma anche Antonio Galotti, Giuseppe Ferrara, Nicola Gammarano, Angelo Lerro e Michelina De Cesare. Donato, Patrizio e Domenico Capozzoli, nati a Monteforte Cilento, misero su un folto gruppo di cospiratori, attivi già dal 1817. Al nucleo originario, ben presto si unirono Francesco Ciardella e Pasquale Russo, anch’essi di Monteforte. Altri gruppi nacquero a Capaccio e Magliano Vetere e presero parte ai moti del 1848. Più tardi, una delle bande più importanti fu quella guidata da Giuseppe Tardio, Pietro Lucido Rubano e Giuseppe Esposito. Il gruppo fu sgominato a Caselle in Pittari nel 1862.

redazione

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