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LA PIRAMIDE CULTURALE DEL CILENTO ideata da Menotti Lerro

Sono 25 i paesi coinvolti (tra cui 6 appartenenti al Vallo di Diano inseriti come satelliti) coinvolti nella Piramide Culturale nel Cilento:

– La Scuola Empatica sorge originariamente nel Triangolo Culturale del Cilento Antico: Omignano – “Paese degli Aforismi”, Salento – “Paese della poesia”, Vallo della Lucania – “Sede del Centro Contemporaneo delle Arti” per poi espandersi in una simbolica Piramide.

– Il vertice più alto è il Monte Stella con i suoi Megaliti (antichi dèi empatici).

– Il mito simbolico del Movimento si chiama UNUS e rappresenta l’Artista Totale.

– Sul territorio di Salento Cilento è sorta, inoltre, “La Repubblica dei Poeti” (un progetto Wikipoesia).

– La Piramide rappresenta l’epicentro dell’Empatismo che si espande a livello internazionale.

– Circa 150 gli autori e persone di cultura che hanno aderito al Movimento (Maestri Empatici).

– Tra i progetti CecArt ricordiamo il Premio “Cilento Poesia” giunto all’ottava edizione e diventato Internazionale grazie alla Soprintendenza di Salerno e Avellino e al Ministero della Cultura.

– La base teorica del Movimento è espressa nel “Nuovo Manifesto sulle Arti” di Menotti Lerro e Antonello Pelliccia pubblicato nel 2019.

– L’antologia del Movimento è uscita nel 2020 presso Ladolfi editore.

– Nel 2022 la rivista “Riscontri” ha dedicato un numero speciale al Movimento.

– Il disegno tecnico è stato eseguito dall’architetto Attilio Dursi (Vice Direttore CecArt).


La scuola empatica, conosciuta anche come Empatismo è un movimento letterario-artistico-filosofico e culturale sorto in Italia nel 2020.

Il Nuovo Manifesto sulle Arti

(a cura di Menotti Lerro)

Ho deciso di unire le forze a quelle di cari amici ancorati da radici artistiche pur diverse dalle mie, poiché ho compreso che in fondo l’arte è solo apparentemente divisibile. Di fatto, se si accetta tale punto di vista, quasi tutti noi, e io per primo, siamo – per dir così – degli artisti incompleti, capaci per lo più di svilupparci e di approfondire un solo aspetto di ciò che forse l’arte richiederebbe (lei che in verità non ha mai chiesto niente a nessuno e che solo dà a chi sa chiedere…). Del resto, a ben pensarci, avviene pressappoco lo stesso con tutte le nostre cose: Non usiamo, ad esempio, troppo poco il corpo e la mente rispetto a come si dovrebbe e potrebbe? e non è forse la nostra conoscenza di ogni dottrina e del mondo oggettivamente limitata?

Se penso a un medico mi accorgo che egli conoscerà bene (o comunque ne avrà una conoscenza maggiore rispetto alle altre) una sola branca della medicina. Non a caso, poi, tenderà probabilmente a specializzarsi proprio in quella specifica direzione; e tuttavia non resterà egli sempre medico, capace all’occorrenza di approfondire anche altri aspetti della sua materia? Il vero artista, dunque, credo segua simili criteri: è artista poiché possiede le caratteristiche fondamentali per essere tale – sensibilità, intelligenza, creatività, curiosità, strumenti tecnici innati o acquisiti, talento… – ma presto deciderà, per una ragione o per un’altra, di dedicarsi ad un peculiare aspetto dell’ingegnosa attività umana finalizzata ad accrescere negli uomini la sapienza atraverso la bellezza o la bellezza attraverso la sapienza, identificandosi, poi, nel ruolo di romanziere, pittore, scultore, musicista…

Sono giunto a tali conclusioni quando ho compreso che tutte le arti mi appartengono più o meno allo stesso modo, o almeno io sento di appartenere loro in egual misura. Più di 20 anni or sono – fa un certo effetto quando a dir così è un quarantenne – sono approdato ai principi che inducono l’uomo a ricercare la parola esatta, alla poesia e alla prosa, ma mi accorgo, ora, di percepire non diversamente le altre espressioni estetiche che il mondo propone e che ho imparato a ri-conoscere sempre più a fondo. Sento la musica pulsare nel mio petto come un battito scomposto e confesso che devo tenermi lontano appositamente dagli strumenti musicali, poiché mi basterebbe una scintilla e potrei ritrovarmi a dedicare a quella tastiera (o ad altro), un tempo non sporadico, che dovrei, per dirla bruscamente, sottrarre alla mia scrittura. Tempo, in verità, che è già fin troppo limitato anche per questa sola arte che furtiva si insinuò nelle mie carni lasciando lì il suo marchio salvifico e mortale quando ancora l’aria dei boschi non aveva peso sulle ombre che affollano i miei sogni.

Sono quindi conscio del limite temporale che rende difficoltosa l’idea di voler tentare l’impresa e imparare altro come vorrei, per potermi, poi, esprimere rendendo onore e gloria all’arte senza farne scempio come gli uomini sembrano in questo nuovo millennio aver deciso di voler, spesso, fare. Tutto questo mi suggerisce, almeno per adesso, di lasciar perdere, di non lasciarmi rapire, se non per mera curiosità, da ciò che non possiedo, evitando di mischiare le carte, rischiando in tal caso di non raccontare, in seguito, nel modo più alto ed efficace possibile, ciò che di volta in volta mi preme. Confesso, tuttavia, che forte è la tentazione e se la mia vita non fosse stata quella di un girovago, costretto a lavorare il triplo di tanti altri uomini che potrei definire di me più fortunati per quanto concerne i beni materiali, allora forse darei da subito libero sfogo allo sviluppo di nuove pulsioni. Credo che potrei esprimermi anche meglio di come faccia con le lettere attraverso pennelli e scalpelli (come da piccolo, in quella nostra falegnameria, che sempre ritorna): me ne accorgo dalla soffice follia che mi assale se vedo dei colori, una tela o trucioli sparsi, che già nei miei opali mille sfumature sovrapposte, capaci di dar voce all’immensità di uno specchio nitido interiore.

Tremo se vedo qualcuno danzare o cantare o progettare un oggetto – perché il design è arte, al contrario di ciò che dicono in molti –, così come un fremito mi assale dinanzi a un fotografo o a un regista che tutto vedono diversamente da come si illudono di vedere altri uomini. Mi basta chiudere gli occhi e mi accorgo che in me ci sarebbero visioni sublimi da trasporre sulla scena, se solo imparassi ad azionare una telecamera, a creare un effetto, ad accendere con un ciack un mozzicone di candela o a far dondolare, senza spinta alcuna, un’altalena.

Confesso l’incolmabile vuoto percepito dinanzi alle arti che non appresi e non prometto che un giorno non mi ritroverò coperto da mantelli diversi da quello che ora indosso. Ma pur se non dovessi mai farlo, come la ragione ben mi suggerisce, so che Artista è chi sa di poterli dignitosamente indossare tutti, quei manti variopinti in cui solitamente ci avvolgiamo per sfuggire al sole che vorrebbe scioglierci in un unico colore o a al freddo che di noi farebbe statue per il suo museo di mare senza sale. Si chiamerebbe “Artista totale” un essere siffatto, o “Artista” con la A maiuscola – finalmente, mi verrebbe da pensare – ossia capace di raccontare il quadro usando ogni singola nota musicale.

Il tormento di questa sera, ad esempio, più che scrivere lo vorrei suonare in una cattedrale o dipingere su un muro di un deserto, sebbene io mai abbia imparato a impastare un colore o a stenderlo o a sfumarlo, stemperarlo. Vorrei, infine, mentre la mia finestra quasi soccombe alla grandine di gennaio, dar fiato a tutti gli strumenti del creato per esprimere la dolcezza e il dolore che ho dentro e forse non basterebbero per raccontarvela tutta.

Quasi svengo, ora, dall’emozione nel confessarlo a me stesso: ogni arte necessiterei per poter vibrare come vorrei, per dirlo come mi piacerebbe, raffigurarlo come sento e vedo. Il poeta (che in questo caso è una sineddoche) che basta a se stesso, non ha probabilmente ancora compreso quanto necessario. I pittori più grandi che ho incontrato dibattevano in versi, suonavano violini, danzavano per strada, così come i grandi musicisti nascondevano dipinti e sculture; per non dire di quel romanziere dedito a una pietra vergine per cavarne gli occhi struggenti dell’amore che dalle consunte carte era fuggito.

Questo, ripensandoci, è accaduto di frequente anni fa – quando già avevo la fortuna di essere accolto da autentici Maestri – sebbene allora non avessi ancora realizzato, lontano dalla sapienza di chi la via mostrava. Ma oggi, che anch’io ho qualche capello bianco, tutto mi è d’un tratto terribilmente e meravigliosamente semichiaro. Questo da un lato mi entusiasma e da un altro mi getta nello sconforto. Nasce lo sconforto dal pensare che una sola vita non potrà bastare a imparare ciò che vorrei, e mi manca il fiato, sentendomi prigioniero dei limiti temporali o della vastità del campo.

Torno alla figura del medico che ho preso audacemente in prestito: mi ero in passato spesso domandato come facesse costui a specializzarsi, abbandonando così radicalmente gli altri nodi dello stesso corpo. Ora lo so: dolorosa scelta, necessaria, forse, all’eccellere, prima di unire ad altri le forze… E se questo vale anche per l’arte, allora sarà l’unione a regalarci l’Artista totale che cerchiamo!

Non poco mi consola questo pensiero: specializzarsi vuol dire creare eminenze settoriali, permettendoci di dare il meglio di noi agli altri, considerata la pochezza del tempo, e niente ci impedirà, poi, di unirci per donare al mondo, sebbene non soddisferemo in toto gli impulsi personali che forse in arte, diversamente che in altre sfere, hanno ancora una ragione d’essere. C’è, comunque, da aggiungere che anche nello stesso ramo artistico sentiamo in verità esigenze diverse: non a caso, spesso, restando nell’ambito letterario, scriviamo poesia, poi teatro, saggistica, aforismi e quant’altro; e mi chiedo, di rimando, perché non ci specializziamo, allora, in un sottogenere soltanto, seguendo così la stessa logica dei limiti che la donna luttuosa con la pronta falce impone o a quelli pratici della specializzazione. In quest’ultimo caso, invece, ci lasciamo andare, seguiamo l’istinto e l’impulso che ci portano ora in un verso, ora in una prosa: gialla, nera, rosa. Forse questo avviene poiché, nei casi citati, minore è il tempo da dedicare per poter apprendere qualcosa di diverso che solo un breve salto richiede: si sposta l’attenzione, in tale circostanza, su soggetti che hanno un etimo comune.

Questione spinosa! Guerra tra le mie stesse mani. L’entusiamo, infatti, nasce dalla consapevolezza che ogni viaggio ha una meta ambita, ma che altrettanto prezioso può essere il percorso che proprio lì conduce. Le mete senza viaggio sono quelle dei raccomandati, che si ritrovano improvvisamente laddove non sanno poi stare e che non comprenderanno quanto prezioso sarebbe stato arrivare spostando ogni sasso della via che alla cima conduce, giungendo lì e non subire la vertigine della vetta improvvisa, e consci di aver acquisito la mappa necessaria per la quasi inevitabile discesa.

Bisogna pertanto non essere voraci, assaporare il piatto con tutti i sensi, magari scoprendone in noi di nuovi. Le arti che non conosciamo sono il cibo che ci fa gola, di cui a volte assaporiamo piccoli bocconi che in ogni palato generano espolsioni…

No, non sarò vorace e non permetterò allo sconforto di fanciullo di non farmelo assaporare per la troppa smania. Dovrò essere paziente e accontentarmi di quella parte di mondo che riuscirò a vedere. E pazienza se dovrò, poi, ritornare in quegli stessi luoghi: Imparerò a riguardarli e a trovare in loro altri mitici particolari. Questa è la salvifica magia dell’arte che ci permette di “accontentare” ogni palato anche solo con il piatto preferito, quello che scegliemmo o che ci è capitato e che abbiamo imparato ad amare e a cui, soprattutto, mai vorremmo rinunciare.

Risposte, sono queste parziali risposte vagamente consolatorie. Mi sento piccolo e impotente dinanzi alle mie pulsioni gigantesche che mi spingono ineluttabilmente verso altri lidi. Ma è acciaio il sapermi accontentare di continuare il viaggio sapendo che in fondo la tappa intermedia è meta dove poter restare e, seppur immobile, poter da lì continuare a scavare, dunque vagare, creare, sognare… Del resto, lo stesso Universo non si potrà mai conoscere per intero, sebbene lo vorremmo, e non con questo ci sentiamo prostrati di fronte a tale incolmabile mancanza. (per approfondimenti vai alla pagina dedicata su wikipedia)

redazione

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