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Il 5 maggio di Manzoni

Il “5 maggio” è una famosa lirica scritta da Alessandro Manzoni come omaggio a Napoleone Bonaparte, morto il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena. Manzoni iniziò a scrivere il poema il giorno stesso della notizia della morte di Napoleone e lo completò rapidamente, il 12 maggio 1821. Morto sull’isola di Sant’Elena, dove era stato in esilio per sei anni dopo la sua resa, la causa della sua morte è stata indicata in un cancro allo stomaco, ma nel tempo si sono accumulate varie teorie, tra cui l’avvelenamento.

Il poema è strutturato in endecasillabi sciolti, cioè versi di undici sillabe senza rima, e si compone di 36 versi. Manzoni riflette sulla caducità della gloria umana e sulle imprese straordinarie di Napoleone, evidenziando come anche il più grande tra gli uomini alla fine debba cedere al destino comune di morte. Il poema esprime un senso di ammirazione misto a meditazione morale sulla vita e sulla storia.

Ei fu. Siccome immobile,
       dato il mortal sospiro,
       stette la spoglia immemore
       orba di tanto spiro,
5        così percossa, attonita
       la terra al nunzio sta,
       muta pensando all’ultima
       ora dell’uom fatale;
       né sa quando una simile
10      orma di piè mortale
       la sua cruenta polvere
       a calpestar verrà.
       Lui folgorante in solio
       vide il mio genio e tacque;
15      quando, con vece assidua,
       cadde, risorse e giacque,
       di mille voci al sonito
       mista la sua non ha:
       vergin di servo encomio
20      e di codardo oltraggio,
       sorge or commosso al subito
       sparir di tanto raggio;
       e scioglie all’urna un cantico
       che forse non morrà.
25      Dall’Alpi alle Piramidi,
       dal Manzanarre al Reno,
       di quel securo il fulmine
       tenea dietro al baleno;
       scoppiò da Scilla al Tanai,
30      dall’uno all’altro mar.
       Fu vera gloria? Ai posteri
       l’ardua sentenza: nui
       chiniam la fronte al Massimo
       Fattor, che volle in lui
35      del creator suo spirito
       più vasta orma stampar.
       La procellosa e trepida
       gioia d’un gran disegno,
       l’ansia d’un cor che indocile
40      serve pensando al regno;
       e il giunge, e tiene un premio
       ch’era follia sperar;
       tutto ei provò: la gloria
       maggior dopo il periglio,
45      la fuga e la vittoria,
       la reggia e il tristo esiglio;
       due volte nella polvere,
       due volte sull’altar.
       Ei si nomò: due secoli,
50      l’un contro l’altro armato,
       sommessi a lui si volsero,
       come aspettando il fato;
       ei fe’ silenzio, ed arbitro
       s’assise in mezzo a lor.
55      E sparve, e i dì nell’ozio
       chiuse in sì breve sponda,
       segno d’immensa invidia
       e di pietà profonda,
       d’inestinguibil odio
60      e d’indomato amor.
       Come sul capo al naufrago
       l’onda s’avvolve e pesa,
       l’onda su cui del misero,
       alta pur dianzi e tesa,
65      scorrea la vista a scernere
       prode remote invan;
       tal su quell’alma il cumulo
       delle memorie scese!
       Oh quante volte ai posteri
70      narrar sé stesso imprese,
       e sull’eterne pagine
       cadde la stanca man!
       Oh quante volte, al tacito
       morir d’un giorno inerte,
75      chinati i rai fulminei,
       le braccia al sen conserte,
       stette, e dei dì che furono
       l’assalse il sovvenir!
       E ripensò le mobili
80      tende, e i percossi valli,
       e il lampo de’ manipoli,
       e l’onda dei cavalli,
       e il concitato imperio,
       e il celere ubbidir.
85      Ahi! Forse a tanto strazio
       cadde lo spirto anelo,
       e disperò; ma valida
       venne una man dal cielo
       e in più spirabil aere
90      pietosa il trasportò;
       e l’avviò, pei floridi
       sentier della speranza,
       ai campi eterni, al premio
       che i desideri avanza,
95      dov’è silenzio e tenebre
       la gloria che passò.
       Bella Immortal! benefica
       Fede ai trionfi avvezza!
       scrivi ancor questo, allegrati;
100        ché più superba altezza
       al disonor del Golgota
       giammai non si chinò.
       Tu dalle stanche ceneri
       sperdi ogni ria parola:
105        il Dio che atterra e suscita,
       che affanna e che consola,
       sulla deserta coltrice
       accanto a lui posò.


Il “5 maggio” ha avuto un grande impatto per il suo stile elevato e la capacità di catturare l’ambiguità dei sentimenti di Manzoni verso Napoleone, oscillando tra ammirazione per il genio e la grandezza dell’imperatore e una riflessione più critica sulle conseguenze delle sue azioni. Questo poema è considerato uno dei capolavori della letteratura italiana dell’Ottocento.

redazione

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